Lingua siciliana

A putìa: origine e significato di una istituzione siciliana che prova a resistere

Nel racconto tra le parole più emblematiche della lingua siciliana ecco l’origine e il significato di a putìa, una istituzione della cultura popolare siciliana che racconta una pagina della storia dell’isola che negli ultimi anni prova a resistere all’avanzata della grande distribuzione e del commercio online.

Questa è una di quelle parole di cui non possiamo limitarci alla semplice traduzione. E’ un termine che include storie, aneddoti, usi, costumi e il racconto di una vita passata che ormai in parte non esiste più.

Scopriamo l’origine, il significato, le storie e le tradizioni che si celano dietro alla parola a putìa in siciliano

Nel racconto delle storie e degli aneddoti di alcune parole simboliche della lingua siciliana ecco il significato e l’origine della parola siciliana a putìa, un termine che descrive qualcosa di caro e di molto vicino per ogni siciliano.

Nelle grandi e nelle piccole città, infatti, non potevano mancare, erano essenziali perché quasi sotto casa trovavamo tutto il necessario. Nei centri storici cittadini da Palermo a Catania erano delle vere e proprie istituzioni, dando vita a luoghi simbolo che sono passati alla storia come lo storico mercato della Vucciria a Palermo (nella foto il dipinto di Renato Guttuso).

Si trovavano le putìe alimentari con frutta, verdura, formaggi, salumi, carni, pane e pasta fresca ma anche di altro genere come le spezierie, a putìa del vino locale (le moderne enoteche), le sartorie (a custurera), i scarpari (calzolaio), i varveri (parrucchieri) e altri piccoli negozi di prodotti artigianali.

Il significato della parola a putìa è risaputo per tutti i siciliani. Ci si riferisce alle classiche botteghe di un tempo molto diffuse durante tutta la storia: dal periodo della dominazione Greca fino alle botteghe d’arte Rinascimentali.

L’origine della parola a putìa, infatti, è attribuibile alla parola greco-latina apotheka che significa appunto magazzino (deposito, ripostiglio) o nella forma più completa dare riparo a qualcosa. In pratica un luogo idoneo alla conservazione delle merci che poi nel corso dei secoli si è trasformato nella nostra parola in siciliano.

Un termine che, vista la tematica delle merci, si è diffuso in tutti i porti del Mediterraneo nelle varie varianti: dall’italiano la bottega al francese boutique, dallo spagnolo bodega (magazzino) al tedesco apotheke (farmacia).

Una parola che abbraccia buona parte del continente europeo ma che in Sicilia racconta storie, aneddoti, usi e costumi di un’epoca ormai passata.

Nelle putìe si andava non solo per acquistare ma anche un po’ per fare due chiacchiere o per incontrare qualche persona (un po’ come attualmente si va nei centri commerciali, anche se con le dovute nette differenze).

Tanti adulti non possono non ricordarsi di quando armati di foglietto in mano con le istruzioni scritte in qualche modo dalla nonna o dalla mamma andavamo a comprare il pane, la pasta fresca o il formaggio.

Un vero rito per tutti i siciliani che ha dato origine anche a modi di dire molto noti come quello di essere una persona di casa e putìa (come il detto italiano casa e chiesa).

Nell’era moderna però lo sviluppo commerciale ed industriale ha modificato le nostre abitudini. In questi anni, infatti, è sempre più difficile trovare una putìa in giro.

Alcune (soprattutto quelle alimentari) resistono nei piccoli borghi e paesi, mentre nelle grandi città si trovano soprattutto botteghe di frutta e verdura soprattutto in alcuni quartieri popolari.

Sono ormai quasi scomparse le putìe dedicate alle spezie, le sartorie o i calzolai, mentre altre altre come i panifici si sono rinnovati e resistono all’avanzare del progresso puntando anche sull’asporto e su pranzi/cene veloci di alcune pietanze siciliane da forno.

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