La Sicilia, i siciliani e il siciliano secondo Andrea Camilleri
Tra le pagine dedicate ai principali personaggi isolani torniamo a parlare del Maestro Andrea Camilleri riportando una sua riflessione sulla Sicilia, i siciliani e il siciliano (inteso come lingua).
Il papà di Montalbano nelle sue tante opere ha sempre messo in primo piano la Sicilia, il carattere dei siciliani e la lingua siciliana (per il Maestro non era un semplice dialetto ma una lingua a tutti gli effetti) anche se poi nei romanzi del Commissario Montalbano ha creato quel particolare linguaggio, conosciuto come Vigatese, a metà tra il siciliano e l’italiano ideato appositamente per le sue opere.
Nella riflessione riportata sotto il Maestro però si concentra su alcune tipiche frasi utilizzate dai siciliani che in molti casi – come lo stesso Camilleri – cerchiamo di italianizzarle. A partire dalle risposte “ora poi lo facciamo” e “si e no” usate contemporaneamente, all’utilizzo della frase “sto tornando” che fa “impazzire” i continentali, al mancato utilizzo del condizionale sostituito dal congiuntivo e alla “trasformazione” dei verbi transitivi in verbi intransitivi.
Poi ancora all’utilizzo senza regole e nei casi più improbabili dei verbi “salire e scendere” e a quelle parole con cui si identificano decine di oggetti simili e molto altro.
E come dimenticare le origini di tante parole siciliane che derivano dai vari popoli che si sono succeduti nel corso della storia in Sicilia.
Parole e modi di dire che non dobbiamo “confondere” con la grammatica italiana ma che allo stesso tempo dobbiamo conoscere e rispolverare, insieme a tutta la lingua siciliana, perché rappresentano le nostre origini che non devono essere dimenticate!
Buona lettura direttamente dalla penna del Maestro Camilleri.
Ecco il testo di una bella riflessione del Maestro sulla Sicilia, i siciliani e il siciliano secondo Andrea Camilleri
In Sicilia quando non sei proprio convinto dici “ora poi lo facciamo…” oppure ad una domanda rispondi contemporaneamente “sì, no…”. Noi siciliani abbiamo una percezione del tempo molto particolare, ad esempio quello che hai fatto il giorno prima diventa passato remoto, come fossero trascorsi secoli…oppure quando stai uscendo di casa, rassicuri tutti affermando “sto tornando”, anche se il tuo rientro sarà dopo un paio d’ore.
Per noi il condizionale è quasi inutile, infatti lo sostituiamo direttamente con il congiuntivo, tipo “se putissi, u facissi”. Abbiamo anche il “potere” di far diventare transitivi i verbi intransitivi, infatti noi usciamo la macchina, saliamo la spesa, usciamo i soldi. Poi a noi piace molto utilizzare gli spostamenti “salire e scendere” in modi molto fantasiosi, infatti noi “scendiamo giù a Natale” e “saliamo dopo le feste”, anche il caffè “è salito” e la pasta si cala. Qui, in Sicilia, le macchine camminano come avessero gambe, e non vengono guidate ma “portate”.
Spesso utilizziamo una sola parola per indicare più oggetti, ad esempio non c’è differenza tra tovaglia, asciugamano, tovaglietta, strofinaccio, per noi è solo tovaglia, e basta. Se vogliamo dire ad un amico di venire a trovarci, gli diciamo di “avvicinare”, che è meno formale e più amichevole.
Riusciamo anche a trasformare un luogo in un modo di fare, ad esempio il cortile diventa curtigghiu, ovvero spettegolare, anche se quest’ultimo non rende molto l’idea.
Se parliamo in questo modo non vuol dire che siamo ignoranti e arretrati, dietro ogni parola o espressione che utilizziamo si nascondono le nostre origini, la nostra storia. Ad esempio “tumazzu, carusu, cammisa”, sono parole greche (vedi tumassu, kouros, poucamiso); “carrubo” deriva dall’arabo “harrub”, così come le parole “cassata e giuggiulena”. “Accattari”, deriva dal normanno “acater” (da cui il francese “acheter”), oppure “arrieri” (da darriere). Dal catalano abbiamo preso in prestito le parole “abbuccari” (da abocar),”accupari” (da acubar), “cascia” (da caixa) ecc… Questi sono solo alcuni esempi, in realtà sono migliaia i vocaboli presi in prestito dalle altre lingue.
Essere orgogliosi delle proprie radici però non significa chiudersi e rifiutarsi di conoscere la grammatica italiana, ritenendo snob “quelli del nord” quando ci correggono. Anzi, utilizzare il proprio dialetto (più che dialetto è una lingua a tutti gli effetti) con consapevolezza, può soltanto arricchire.
Andrea Camilleri – Il Maestro e la Sicilia: il nostro ricordo.